Domenica. Giornata dedicata alle celebrazioni liturgiche di matrice cattolica. Mi accingo, da par mio, ad approcciare in maniera altrettanto religiosa uno dei capitoli più importanti della storia della musica tutta.
1973. I Pink Floyd unirono i puntini che contrassegnavano i loro precedenti album e diedero alle stampe The Dark side of the moon, che rimase nelle classifiche di Billboard per 741 settimane.
Introdotto visivamente da una delle cover più famose della storia del vinile, mentre dal lato musicale un battito cardiaco inaugura le danze, il disco si presenta come un concept album, il cui tema portante (a firma Roger Waters) tratta l’inesorabile caduta dell’uomo verso la pazzia, tramite un piano inclinato segnato da tempo, soldi e bramosia di potere.
I brani più significativi? E che ve lo dico a fare…
– Un suono campionato di monetine, seguito da un basso in 7/4 di Waters, inaugura Money, la più commerciale del disco. Il testo tratta in modo caustico il capitalismo moderno e parla in maniera dissacrante dei soldi, dei quali però non si riesce a fare a meno.
“Money. It’s a crime.
Share it fairly, but don’t take a slice of my pie”
Memorabile l’assolo di sax e il wall of sound che ci accompagna in tutto il brano.
– Un ticchettio di orologi di antiquariato, ancora una volta campionato magistralmente dal tecnico del suono Parsons, al quale andrebbe dedicata una statua per il lavoro svolto, introduce Time. Trattasi di un viaggio onirico, visionario, che traghetta l’ascoltatore verso l’inesorabile scorrere del tempo.
“Ticking away the moments that make up a dull day”
Anche qui, svetta l’assolo di Gilmour, che ci consegna uno dei brani più memorabili della storia del rock. Una sorta di ponte tra i Pink Floyd lisergici ed ermetici della prima ora e quelli più ariosi e magniloquenti della seconda parte di carriera. Con la genialità ad unirli.
– The Great gig in the sky. The Great Gig in the Sky. The Great Gig in the Sky. Non mi piace per niente, vero? Il coup de theatre dei vocalizzi di Clare Torry rende questa song particolare nella sua distintività, unendo la tastiera di Wright e la voce femminile in un’amalgama unica nel suo genere. A detta di chi scrive, a mani basse una delle vette floydiane.
– Us and them. Brano che si inserisce perfettamente all’interno del concept e racconta (in una ottica che definirei di sinistra – Waters dixit) della differenza tra Noi (poveri, emarginati, ma dignitosi) e Loro (ricchi, impostati). Un altro brano che affonda la lama nel cervello dell’ascoltatore e fa della coralità e della perfezione del suono la sua colonna portante. Memorabile la presenza del sax, senza la quale Us and them non sarebbe la stessa. Geniale.
In generale, ognuna delle dieci tracce che compongono The Dark side of the moon è strettamente connessa alla seguente, tanto che la coda strumentale della precedente spesso sfuma nell’intro della successiva. Un concept album è anche questo: se si prendesse un brano a sé stante, per quanto geniale, non renderebbe piena giustizia al suo reale contributo, come se inserito in un contesto nel quale dona quel quid in più assieme alle altre canzoni.
A elevare ancora di più il disco a pietra miliare della musica fu la perfezione del mixing sonoro; basti pensare che, fino a qualche anno fa, The Dark side of the moon veniva usato come paragone dai migliori fonici a livello mondiale. E stiamo parlando di un disco che ha appena spento cinquanta candeline.
Consigli per l’ascolto: spegnete la luce, rilassatevi, accendete il giradischi e lasciatevi trasportare nel mondo di Roger Waters, David Gilmour, Richard Wright e Nick Mason.
Non ve ne pentirete.
🤘Album: The Dark Side of the Moon
🤘Gruppo: Pink Floyd
🤘Genere: Progressive Rock
🤘1973, Seconda Stampa, Ita
🤘Voto: Il massimo possibile