Finiti. Bolliti. Venduti. Quante volte ho sentito definire così i Litfiba negli anni novanta. Dire semplicemente che erano un’altra band rispetto agli anni ottanta è chiedere troppo?
1988. I Litfiba chiudono il cerchio della prima parte di carriera con Litfiba 3, che sigilla la Trilogia del potere con una ceralacca di alto lignaggio.
Santiago è un’invettiva durissima contro il viaggio di Giovanni Paolo II in Cile dal dittatore Pinochet. Ghigo Renzulli, la cui chitarra di vinile in vinile acquista sempre più presenza, mostra i muscoli sia nella strofa – assieme a basso e tastiera – che nell’assolo. Una partenza alla Litfiba.
Amigo è un altro passo avanti della band verso un suono più orientato al rock e precede la prima perla assoluta del nostro lp: Louisiana.
La canzone tratta della pena di morte e si snoda attraverso una ballata straordinaria, che sarà riproposta dal vivo nella chiusura del live Pirata (1989).
“Louisiana,
L’ultima sigaretta, miccia al tabacco.
Poi il mio trono esploderà.
Apritevi finestre, suonate campane.
Il mostro nero elettrico”.
Dal vivo mette i brividi, soprattutto gli ultimi minuti cantati dal pubblico, che si fonde in un tutt’uno con la band fiorentina.
Ci sei solo tu (parlandoci di malattie mentali) e Paname (per metà in francese) chiudono magnificamente il lato A del vinile, lasciandoci in bocca un sapore gustoso e la sensazione di essere al cospetto di un album buonissimo, ma non eccezionale.
Come solo le grandissime band sanno fare, anyway, il lato B è superiore al precedente.
Cuore di vetro tocca uno degli apici compositivi di tutta la discografia litfibiana; tutti i membri viaggiano verso una finale di canzone scoppiettante tra riffing che anticipano il grunge e soluzioni stilistiche che abbandonano la new wave e anticipano la fase rock della band.
Che cosa dire di Tex? Come già il titolo anticipa, è una canzone che si scaglia contro l’occupazione abusiva dei territori una volta dimora nei nativi americani. La versione presente in Litfiba 3 è la meno muscolare e più intimista; quella riproposta dalla band negli anni a venire riprende degli arrangiamenti più spinti e coerenti con il testo incazzato di Pelù:
“Ah, che cazzo dici?
La vostra libertà.
Oh, ma cosa dici?
Noi ce l’avevamo già”.
Occorre aggiungere altro? Come non essere d’accordo nel condannare il genocidio dei nativi?
Not in my name.
Peste vede un testo ambientalista, con delle ottime strofe e un ritornello che a mio parere convince meno. Non a caso, lo considero poco più di un buon riempitivo.
Corri è bellissima nel suo incedere nervoso e ipnotico, con il basso di Maroccolo in evidenza. Testo potente, improntato all’idea di libertà.
Chiude la favolosa Bambino, che Pelù dipana tramite un tappeto di malinconia verso le reminescenze infantili, sorretto da una band che lavora al servizio della canzone. Bambino svela il lato più intimista di una band che, nell’arco della sua quarantennale carriera, ha toccato vette altissime in ogni sua sfaccettatura.
Litfiba 3 vede la band meno coesa rispetto ai primi due album; queste differenze di vedute segneranno l’abbandono di Maroccolo e la parziale uscita di Aiazzi, che rimarrà come collaboratore esterno.
Il vinile in questione è considerato la testa di ponte tra il primo periodo della band, lisergico e sognante, e quello rappresentato dal caleidoscopio rock. Radiofonico, hard, elettronico, misto pop.
A parte qualche mezzo passo falso, una caratteristica non ha mai abbandonato i Litfiba.
Quale? Essere la migliore rock band italiana di sempre.
Vi pare poco?
W Litfiba
🤘Album: Litfiba 3
🤘Gruppo: Litfiba
🤘Genere: New wave
🤘1988, Prima stampa Ita
🤘Voto: 82/100